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  • PID Camera di commercio di Taranto

I big data, linfa della trasformazione digitale


"Un sistema di Big Data si riferisce a dataset la cui taglia/volume è talmente grande che eccede la capacità dei sistemi di database relazionali di catturare, immagazzinare, gestire ed analizzare". Questa è la definizione di Big Data che ha dato il McKinsey Global Institute.

Ogni giorno le aziende immagazzinano una quantità di dati - strutturati e non - che diventa “big” quando aumenta il volume e, allo stesso tempo, aumentano la velocità e il flusso di informazioni che il sistema aziendale deve poter acquisire e gestire al secondo. Pensiamo alla nostra quotidianità: ricerche sul web, navigazione sui siti, chiamate a call center, creazione di fidelity card nei negozi, click sui post nei social network attraverso smartphone interconnessi. Tutto questo genera una quantità di dati enormemente più ampia rispetto a quando internet non esisteva e quando gli oggetti non erano connessi tra loro attraverso la rete. La connessione, associata a software di raccolta e analisi, rende i dati analizzabili in tempo reale.

Queste caratteristiche sono ciò che ha generato il passaggio dalla semplice definizione di dati a quella di Big Data. Tale concetto nasce nei primi anni 2000 quando l’analista Doug Laney formula la celebre definizione delle tre V dei big data:

- Volume: le imprese raccolgono dati provenienti da svariate fonti e oggi, con le nuove tecnologie esistenti, possono facilmente conservarli in database gestiti da applicazioni automatizzate.

- Velocità: i dati possono e devono essere gestiti in maniera tempestiva. L’uso di sensori, sistemi di telelettura, identificazioni a radiofrequenza e tante altre tecnologie permettono di acquisire grandi volumi di dati praticamente live.

- Varietà: i dati sono raccolti in diversi tipi di formato: dati numerici strutturati in database tradizionali (ma in quantità molto maggiori) e dati non strutturati come immagini, audio, video, file testuali, email e transazioni finanziarie.

A queste tre se ne sono aggiunte altre due negli anni:

- Veridicità: i dati devono essere affidabili perché avere dati sbagliati è peggio che non averne. La qualità e la completezza delle informazioni raccolte è la base per analisi che siano realmente utili e affidabili.

- Variabilità: essendo tanti e nuovi in ogni momento, i dati cambiano di significato e inclinazione. La mutevolezza del loro significato è, quindi, un aspetto da considerare attentamente quando i dati vengono interpretati.

Prendendo in prestito una definizione del blog di Osservatori.net, si potrebbe considerare anche una sesta V: “Per far sì che i Big Data possano essere trasformati in informazioni da utilizzare nei processi aziendali costruendo conoscenza per migliorare le performance, sono necessari strumenti di Analytics. Oltre il modello delle 5V, quindi, è doveroso considerare una ulteriore V: il valore. Qui sono le metodologie di Big Data Analytics ad essere fondamentali, attraverso il loro utilizzo un’azienda può estrarre valore, ovvero prendere decisioni più informate, tempestive e consapevoli, dal vasto mondo dei Big Data”.

Questa lunga introduzione è utile a capire che i Big Data non sono solo un trend del momento, ma una vera e propria opportunità per le aziende che desiderano crescere e avere un’organizzazione sempre più orientata alla qualità del prodotto e alla soddisfazione del cliente. In un periodo storico in cui la concorrenza è tanta in ogni settore, l’innovazione tecnologica non può più essere una scelta. I Big Data sono la chiave per sfruttare al massimo le possibilità date dalle nuove tecnologie ed essere competitivi.

Come? Sfruttando i Big Data si può capire quali sono i motivi che spingono le persone ad acquistare determinati prodotti e servizi, intuendo di conseguenza i trend di mercato e il posizionamento del brand nella mente del cliente (brand identity) e nel mercato stesso. La presenza di una grossa mole di dati di generi e formati anche molto diversi, a volte inediti, consentono alle aziende di ottimizzare le loro strategie produttive e organizzative, sperimentarne di nuove e allargare i loro modelli di business, oltre che prevedere le nuove tendenze di mercato e anticipare le scelte della concorrenza. Se pensiamo anche alla personalizzazione della comunicazione con il cliente e al perfezionamento delle strategie di marketing, sempre più in target e orientate ai gusti dei clienti, capiamo come i Big Data e la loro analisi hanno rilevanza trasversale, toccando tutti i processi aziendali.

Un esempio di impresa che, pur essendo una piccola realtà, sfrutta le potenzialità dei big data per migliorare i suoi processi produttivi e la qualità del prodotto stesso è Ferrari Farm Società Agricola S.r.l., situata in provincia di Rieti. Come l’azienda stessa spiega sulla sua pagina web, ha progettato e realizzato un impianto di coltivazione idroponica costituito da due serre e un fitotrone (illuminato solo a LED, senza la luce solare); le serre sono ermetiche (nessuno scambio con l’ambiente esterno) e sterili (aria e acqua sono sterilizzate con lampade UV), oltre che completamente computerizzate, permettendo così produzioni indipendenti dalle condizioni climatiche esterne e prive di inquinamento ambientale. Il clima interno, gestito da computer, garantisce le condizioni ottimali per la crescita delle piante, comandando uno speciale impianto che regola temperatura, umidità relativa e CO2, mentre l’irrigazione gestita da computer si basa sulla distribuzione di sali minerali con le acque di irrigazione a “ciclo chiuso” per ridurre al minimo il consumo di acqua. In altre parole, in ogni istante, tutti i giorni e per tutta la vita della pianta, il sistema computerizzato automatico comanda e controlla sia il clima che le irrigazioni.

Volendo andare ulteriormente nel dettaglio, prendendo ancora in esame la definizione di Osservatori.net, possiamo dividere i Big Data Analytics in quattro classi:

- Descriptive Analytics: strumenti orientati a descrivere la situazione attuale e passata dei processi aziendali e/o aree funzionali.

- Predictive Analytics: strumenti avanzati che effettuano l’analisi dei dati per rispondere a domande relative a cosa potrebbe accadere nel futuro.

- Prescriptive Analytics: strumenti avanzati capaci di proporre al decision-maker soluzioni strategiche sulla base delle analisi svolte.

- Automated Analytics: strumenti capaci di implementare autonomamente l’azione proposta in base al risultato delle analisi dati svolte.

Le aziende che, ad oggi, hanno implementato iniziative di Big Data Analytics hanno ottenuto diversi risultati, tra cui “sicuramente il miglioramento dell’engagement con il cliente (nella totalità dei casi). Seguono l’aumento delle vendite (91%), la riduzione del time to market (78%), l’identificazione di nuovi prodotti e servizi (67%), l’ottimizzazione dell’offerta attuale per aumentare il margine (73%) e la riduzione dei costi (56%). Più difficile traguardare l’obiettivo dell’identificazione di nuovi mercati, effettivamente ottenuto solo da quattro aziende su dieci (38%)” (Osservatori.net).

Nel 2018, il 45% della spesa in Analytics è dedicata ai software (database e strumenti per acquisire, elaborare, visualizzare e analizzare i dati, applicativi per specifici processi aziendali), il 34% ai servizi (personalizzazione dei software, integrazione con i sistemi informativi aziendali, consulenza di riprogettazione dei processi) e il 21% alle risorse infrastrutturali (capacità di calcolo, server e storage da impiegare nella creazione di servizi di Analytics). Il quadro è complessivamente positivo, a conferma di una comprensione crescente delle opportunità offerte dai Big Data Analytics.

Anche in Italia il mercato dei Big Data è in continua crescita. Negli ultimi 3 anni il trend è positivo e nel 2018 ha raggiunto un valore complessivo di 1,393 miliardi di euro, in crescita del 26% rispetto all’anno precedente. Gran parte di questo mercato appartiene alle grandi imprese, che sono responsabili dell’88% della spesa complessiva. Al contrario, solo il 7% delle PMI ha implementato progetti di Big Data Analytics e queste si fermano al 12% della quota di questo mercato a causa di un ritardo tecnologico e culturale. Tuttavia fa ben sperare il comparto delle Startup impegnate nel mercato dei Big Data Analytics, che nel 2018 erano oltre 400, le quali hanno ricevuto almeno uno o più finanziamenti da investitori istituzionali negli ultimi 3 anni, per un totale di 4,74 miliardi di dollari (Dati dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence del Politecnico di Milano).

Un’azienda tutta italiana, tra le più sviluppate del comparto ceramico modenese, che ha investito fortemente nell’innovazione attraverso l’uso dei big data è la Florim Ceramiche S.P.A. Negli ultimi due anni la società ha investito oltre 200 milioni di euro in innovazione, arrivando nel 2017 ad aprire uno stabilimento a Mordano che è un eccellente esempio di industria 4.0. Trattasi di un polo tecnologicamente evoluto per la produzione di lastre ceramiche di grandi dimensioni che in seguito passano allo stabilimento di Fiorano Modenese, sede principale dell’azienda, per le fasi successive di lavorazione, packaging e spedizione. Le due sedi sono connesse tra di loro per una completa tracciabilità, dalla materia prima alla fase di confezionamento. Un sofisticato software ha il compito di controllare e gestire in modo automatizzato gli impianti, i robot antropomorfi e i veicoli LGV (Laser Guided Vehicle), totalmente interconnessi tra loro. Questo sistema di comunicazione, completamente integrato, si pone l’obiettivo di innalzare la qualità del servizio al cliente e ridurre le tempistiche di consegna dei materiali.

Consideriamo questi esempi e i dati generali del comparto come molto interessanti, dovuti ad una maggiore consapevolezza sul tema da parte delle aziende e all’utilizzo crescente di nuove tecnologie abilitanti, che lasciano ben sperare per l’evoluzione di un settore che sta facendo e farà la differenza nello scenario economico-commerciale nazionale e mondiale.

(Gabriele Cometa ed Elisabetta Patrimia - Digital Promoter PID Taranto - tel. 0997783067)

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