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  • Francesca Sanesi

Leggere, anche in estate. Tecnologia, lavoro, radicalità.


Bisogna leggere, anche in estate. Si costruisce per l’inverno.

Dunque, una selezione, per associazione di idee, di cose belle scritte in questi mesi estivi sugli argomenti che, tradotti in programmi, progetti e servizi, trattiamo ogni giorno nella nostra Camera di commercio.

Il 17 luglio, sul settimanale del Corriere della Sera “Buone Notizie”, Mario Calderini, docente della School of Management del Politecnico Milano ha pubblicato un piccolo articolo intitolato “Etica e sociale ma oltre l’etichetta”.

È una lettura illuminante non solo per chi si occupa di sviluppo sostenibile, ma in genere per riflettere sulle dinamiche sociali, economiche e finanziarie contemporanee. Dice Calderini: “il frutto avvelenato di un modello di crescita non sostenibile si presenta oggi ed improvvisamente in forma di diseguaglianza, esclusione e rabbia sociale. Da questo nasce l’urgenza e l’imperativo di ridefinire i termini dell’agenda di sostenibilità, passando dalla fase dell’advocacy e della narrativa alla fase della radicalità”. Il salto verso un nuovo paradigma di sviluppo necessita di un’efficacia che, sin qui, molti di noi sentono carente. La radicalità significa uscire dall’apparenza, dagli “esercizietti”, da un uso di parole di tendenza applicate a ogni contesto. Un bel monito, cui è necessario rendere merito evitando, appunto, di cadere nel generico. Bisogna “dare i nomi giusti alle cose giuste”. Per esempio, Calderini parla di alcuni criteri che consentono di “qualificare le azioni che ambiscono ad iscriversi in un’agenda di sostenibilità robusta, concreta e strutturata”: intenzionalità, misurabilità e addizionalità caratterizzano modelli d’intervento capaci di affrontare i problemi emergenti con reale capacità trasformativa. “Se è per certi versi scontata l’applicabilità di questi criteri nel terzo settore, molto più selettiva è l’applicazione degli stessi alle forme di impresa o di attività finanziaria che operano nei settori tradizionali” aggiunge.

È immediato per noi il collegamento con la mappa dell’economia coesiva che AICCON ha aggiornato e presentato, sempre in luglio, nell’ambito del Rapporto realizzato con Fondazione Symbola e Unioncamere “Coesione è competizione”. La mappa individua le “istituzioni che producono valore condiviso attraverso la riconnessione con la comunità e i territori di riferimento assumono funzioni-obiettivo differenti, garantendo così un’importante biodiversità organizzativa al modello di economia coesiva cui contribuiscono”.

Fra questi soggetti, le società benefit delle quali ci occupiamo sin dalla entrata in vigore della legge istitutiva, nel 2016. Ne hanno scritto recentemente proprio Calderini e Magalì Fia, i quali in giugno, all’Euram Conference 2018 di Reykjavik, hanno presentato il paper "Hybrid organizations and governance issues”. Si legge nell’abstract: “Hybrid organizations and particularly Social Enterprises (SEs) play a major role in pursuing this dual mission. Even if current laws potentially allow the pursuit of social goals, the concept of shareholder-value maximization weakens traditional incorporation modes as credible means for achieving them. SEs need therefore specific legal protection. The stakeholder theory suggests that a governance structure based on checks and balances tackles the problem of balancing multiple claims (beyond shareholders’ ones). New legal forms, particularly Benefit Corporations (BCs), implement such a model by providing a governance arrangement for immunizing managers and directors that seek to pursue social goals. BCs overcome therefore the dysfunctionality of traditional incorporation modes, however some adjustments are still needed”.

Basta advocacy e narrazione. Siamo in grado (dobbiamo esserlo) di passare alla concretezza di criteri e driver.

E di driver parla, con grande intuizione, Flaviano Zandonai, Segretario generale di Iris Network, la rete nazionale degli istituti di ricerca sull’impresa sociale, in un bell’articolo uscito su Tempi Ibridi il 20 luglio “Cosa sta succedendo (e come starci dentro)”. Dice Zandonai: “Non è facile interpretare i cambiamenti in corso, in particolare se l’obiettivo è esserne parte. La sovrastruttura è monopolizzata da una narrazione schizofrenica che esaspera e insieme appiattisce la complessità dei fenomeni rendendo molto ardui i tentativi di ricomposizione e di apprendimento. E invece gli elementi più profondi di trasformazione vengono presentati come salti di paradigma che relegano la vita quotidiana ad uno stato di eterna transizione, in perenne attesa che sorga il nuovo sol dell’avvenir”.

E ancora “Rompere la crosta dello storytelling e raffreddare il nucleo dei significati richiede di spostare il focus a livello di vettori di trasformazione (piuttosto che di esiti spesso più evocati che misurati). Driver di cambiamento sui quali è possibile agire qui ed ora attraverso soluzioni di politica e di organizzazione sociale ed economica la cui rilevanza è direttamente legata alla capacità di mobilitazione”.

“Come starci dentro” è una domanda semplice che ci poniamo tutti. Un domanda semplice che però pretende risposte complesse (non semplificate), come complessa è la realtà per le persone, per le imprese, per i lavoratori e le lavoratrici, e anche per le Istituzioni pubbliche che devono accompagnare le trasformazioni, quella digitale, fra le altre. Chiamiamola così, o quarta rivoluzione industriale. Certo è che riguarda tutti e bisognerebbe affrontarla utilizzando, magari, un berillo cusaniano. Stefano Zamagni vede il bene comune come berillo intellettuale in economia. Lo ricordò qualche anno fa, qui in Camera di commercio di Taranto, e fu come trovare la chiave giusta per una porta che sembrava impossibile aprire.

Allora, guardiamo attraverso il berillo e rendiamo più chiari certi cambiamenti che spesso disorientano. Il lavoro, ad esempio, e la tecnologia.

Altre due letture per farlo.

Sempre su Tempi Ibridi, il 22 giugno esce “Il bisogno del lavoro” di Paolo Venturi, direttore di AICCON. “Serve quindi il coraggio – dice Venturi - oltre che l’intelligenza, di andare oltre il modello di organizzazione del lavoro pensato all’epoca della seconda rivoluzione industriale” e “dobbiamo cessare di separare dissennatamente la dimensione soggettiva e la dimensione oggettiva del lavoro”. Radicalità.

Il 12 agosto, infine, Marco Bentivogli, Segretario generale FIM Cisl, e Massimo Chiriatti, tecnologo pubblicano su Il Sole 24 Ore il Manifesto Blockchain Italia. Blockchain, una delle tecnologie che può assumere grande rilevanza in Impresa 4.0.

Il modello industriale sotteso è una decentralizzazione del valore tra tutti i soggetti che partecipano alla filiera, modalità confacente a un sistema come quello italiano caratterizzato da una pluralità di Pmi” dicono gli autori che non mitizzano la blockchain ma la interpretano come “una scelta a nostra disposizione: non va applicata dappertutto ma può eliminare problemi e introdurre nuove sfide”. Ma cosa colpisce di questo Manifesto, oltre al merito di aver sollevato, con serenità e senso di prospettiva, un ampio dibattito, tutto italiano (ne hanno scritto in molti, fra i quali Becchetti, Fuggetta, Amicucci, approfondendone temi specifici)? L’idea che blockchain possa essere un “nuovo bene pubblico”. Ci sembra molto più di una suggestione. Ne parleremo in settembre in uno dei nostri eventi Punto Impresa Digitale.

Leggere, allora, senza distrarsi. Anche in estate.

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